Il reddito di cittadinanza: per l’Italia uno strumento solidale senza alternativa e un modo per essere in Europa

image_pdfimage_print

Di Pierantonio Rumignani, PD Berlino e Brandeburgo

Giorgia Meloni ha definito il costo del RdC “esorbitante”. Su quale base? Non lo dice. Le viene in aiuto Silvio Berlusconi che chiede il suo dimezzamento. Mentre il terzo della compagnia, Matteo Salvini, che dirige un partito che al governo fu parte attiva nell’introduzione del RdC, non può permettersi di fare apertamente l’affossatore e si concentra sull’inasprimento delle condizioni di accesso ai sussidi. Sorprende ancora una volta come il terzetto non faccia alcuno sforzo per gettare un occhio oltre i nostri confini su come altri sistemi molto simili funzionino – nessuna sorpresa: non lo fa anche nei casi del salario minimo e della flat-tax. Si accorgerebbe che la musica oltre le Alpi, pur con tutte le cautele nell’utilizzo di uno strumento di difficile impiego, è molto diversa.

Il breve allegato mostra alcuni risultati salienti del RdC a tre anni dalla sua introduzione nel marzo 2019. Mentre il contrasto alla povertà, pur rivelando un bisogno di ricalibrazione come proposto nella Redazione del Comitato Scientifico , ha registrato risultati positivi tangibili con un aumento del sussidio dal 5.5% del reddito mediano equivalente nel 2017 (al tempo del REI) al 23,9% nel 2019 fornendo sostegno nel 2021 a 3,9 milioni di persone, si è molto distanti dal realizzare uno strumento efficace per l’inserimento nel mondo del lavoro, il secondo obiettivo del RdC, attraverso la riqualifica e l’utilizzo di efficienti strutture amministrative di matching, un annoso e noto problema che predata il RdC. Le risorse finora impiegate per questo secondo obiettivo appaiono tuttora inadeguate per fare la “differenza” nel colmare il forte divario tra quanto offerto dalle risorse umane da reinserire e le qualifiche professionali richieste dalle imprese . Un maggiore sforzo, finanziario e organizzativo, appare qui necessario.

Ma guardiamo all’esempio della Germania per avere un confronto immediato e parliamo in primo luogo degli importi. A fronte di una spesa di 8,8 miliardi di euro in Italia (2021) la Germania spende per un meccanismo analogo ma di dimensione ben maggiore (Sussidio di base per persone in cerca di lavoro, detto Hartz IV – Grundsicherung für Arbeitsuchende, Libro II, SGB) ben 44,3 miliardi di euro così composti, includendo anche i costi amministrativi (BfA, 2020 – non conteggiate sono le spese una tantum a favore dei beneficiari in situazioni particolari):

               € mrd.
 Sussidio di disoccupazione II e assegno sociale14,7
 Sussidi aggiuntivi per l’affitto e il riscaldamento14,0
 Sussidi aggiuntivi per l’assicurazione sanitaria 6,0
 Costi dell’integrazione nel mondo del lavoro 4,0
 Costi amministrativi e altro 5,6
 TOTALE44,3

Gli aventi diritto sono in Germania attualmente (“Leistungsberechtigte”, luglio 2022) 5,3 milioni contro 3,9 milioni in Italia (fonte: Osservatorio INPS). Nel 2021 sono state integrate in Germania nel mondo del lavoro 900 mila persone, ovvero circa il 24% dei beneficiari in essere contro un 4,5% nel nostro Paese.

Naturalmente anche in Germania la discussione è robusta tra i partiti conservatori e la sinistra della SPD e i verdi. Non abbiamo tuttavia in cantiere tra i primi il progetto di un’abolizione del sistema attuale. La loro reazione, per quanto vivace, di fronte agli ultimi annunci del ministro Heil (SPD) relativi al superamento del sistema attuale in senso più generoso verso i beneficiari dei sussidi è stata quella di un richiamo allo stesso spirito della legge attuale (“Fördern uns Fordern” = incoraggiare ed esigere).

In Italia la discussione si trova in forte ritardo rispetto a quella tedesca.

Mentre il PD, un tempo restio, si dichiara ora apertamente convinto dell‘utilità dello strumento del RdC i partiti della coalizione di destra-centro fanno a gara nell’esprimere forti critiche al riguardo – anche a costo di rivelare nei loro argomenti forti contraddizioni con dati e fatti a disposizione. Una volta di più tali contraddizioni vengono annegate secondo sistema nella dialettica usualmente aggressiva delle loro dirigenze.

La Lega, dovendo rimanere in qualche modo coerente con la propria decisione favorevole all’introduzione del RdC nel 2019, non spinge sulla sua abolizione ma cerca la propria soluzione del problema nell’inasprimento delle condizioni per la concessione del sussidio dimenticando totalmente la grave problematica relativa alla qualifica dei beneficiari. Salvini, che ama le maniere forti e spicce, porta avanti la sua proposta primitiva (intervento al Caffè de la Versiliana a Marina di Pietrasanta) in questo modo: „Come lo si modifica (il RdC, ndr)? Lasciandolo a chi non può lavorare mentre per chi può lavorare se rifiuti anche una sola offerta perdi subito il beneficio.” mostrando di vedere in ogni lavoratore solo uno scansafatiche inveterato che mira unicamente a intascare il sussidio. L’opportunità della riqualifica, anche nell’interesse dei datori di lavoro, viene messa apparentemente in soffitta ritenendo che basti la volontà di lavorare per far scaturire l’impiego, anche se sottopagato.

Una posizione simile, anche se in termini diversi, viene assunta da FdI ove la sua segretaria nazionale la mette sul piano della cultura, che in realtà nel suo partito non sembra essere troppo di casa, per giustificare una chiusura netta e irrevocabile (intervento su Radio24): “Sono 4 anni che assumo toni duri su una misura culturalmente sbagliata. Uno Stato giusto distingue l’assistenza a chi non può lavorare e il sostegno per chi lavori mentre noi abbiamo messo tutti sullo stesso piano. Se le stesse risorse destinate al reddito di cittadinanza le avessimo date, per la stessa quota, alle imprese per assumere le persone, oggi avremo meno disoccupati e a carico dello Stato.” Evidentemente Giorgia pensa che „chi non può lavorare“ e „chi lavori“ siano due categorie a compartimenti stagni negando sostanzialmente funzione alla riqualifica. In questa logica il problema sarebbe risolvibile dando i fondi del RdC agli imprenditori e abbassando i costi di assunzione. In questo modo Giorgia si trova come Salvini palesemente in conflitto con la realtà che mostra quanto grandi siano le difficoltà delle imprese a trovare il personale con le qualifiche da loro richieste, risolvendo tutto in una questione di prezzo e costo e lasciando a terra il lavoratore senza sostegno economico nel caso questo non trovi rapidamente occupazione.

Ma le osservazioni sul Giorgia-pensiero non si fermano qui: una volta messo il lavoratore disoccupato nel girone di „chi non può lavorare“, questo non ne può presumibilmente più uscire se non per raro accadimento, venendo bollato come percettore di elemosina per il resto della sua esistenza.

FI invece, spazzando sotto il suo capace tappeto le parole di aperto elogio per lo strumento del RdC pronunciate ripetutamente da Berlusconi l’anno scorso – diciamo a posteriori: evidentemente per tornaconto politico immediato – e non dimentico dello stato problematico delle nostre finanze malgrado si parli di un esborso per il RdC (dato del 2021) dell‘1,4% della spesa pubblica misurata sull’ultimo anno precedente il Covid (2019), si pone nel ruolo del Ministero delle finanze (intervista a Berlusconi su Money, 11.08.2022) indicando l‘obiettivo di recuperare „4 miliardi dalla riformulazione del reddito di cittadinanza (ovvero quasi la metà della spesa del 2021, ndr), che deve diventare una misura a favore di chi non può davvero lavorare“, concetto del tutto incerto su cui anche lui batte.  

Fatto sta, nella confusione delle varie posizioni degli attori, che il programma della coalizione di destra-centro si pronuncia manifestamente contro il RdC – peraltro in modo vago e indeterminato e pure in contraddizione con alcune delle posizioni richiamate sopra – proponendo semplicemente una non meglio definita „sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro” senza altra precisazione.

La sola abolizione o forte ridimensionamento del RdC unitamente alla flat-tax e al rifiuto dell’introduzione del salario minimo mette in evidenza la linea della coalizione destra-centro a favore di un alleggerimento del peso fiscale per le classi più abbienti e una riduzione della spesa sociale – questo anche quando essa è destinata a incrementare l’efficienza del sistema economico – così nel caso del RdC quando uno degli effetti è quello di incrementare la popolazione attiva a sostegno di una anemica crescita economica.

Il contrasto non può essere più netto con le posizioni a favore del RdC dei partiti opposti alla coalizione di destra-centro, inclusa Azione che nella persona di Calenda ha fatto sapere due giorni fa in un incontro elettorale a Catania di non essere “contraria al reddito di cittadinanza. Chi non può lavorare, non è in condizioni di farlo, deve continuare a prenderlo. Chi può lavorare deve essere formato.” Il pensiero non è “pulito” perché solleva domande sul tema della reintegrazione generalmente difficile delle persone disoccupate da lungo tempo ma manifesta l’accettazione del principio di un RdC, malgrado il nome infelice e fuorviante.

Qui si invita apertamente chi andrà prossimamente a votare a tenere conto delle argomentazioni sopra esposte senza dimenticare che la ragione principale di misure come il RdC è il sostegno delle classi meno abbienti in una società che non può e non deve dimenticare il dovere morale di favorire un’esistenza degna e dignitosa per tutti i suoi cittadini.

ALLEGATO

L’introduzione, dopo un timido inizio con il Reddito di Integrazione (REI), del Reddito di cittadinanza (RdC) ha rappresentato un tardo adeguamento del nostro sistema di protezione sociale a quanto è già da anni fatto acquisito nella stragrande maggioranza dei paesi europei.

Come altrove lo strumento viene definito, quale sostegno „di ultima istanza“, attraverso il perseguimento di due principali fini a beneficio delle famiglie a basso reddito con componenti in età di lavoro e non inabili:

  1. Contrasto alla povertà: mediante l’integrazione del reddito familiare attraverso un sussidio economico fino a determinati massimali ed eventuale contributo addizionale a copertura di costi per l‘affitto della propria abitazione
  2. Migliore inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro: mediante un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale

Ricordando a) che esiste oggi un consenso internazionalmente esteso sull’opportunità di un duplice intervento, di reddito e di riqualifica, a sostegno dei lavoratori con basso reddito e dei loro nuclei familiari e b) che le critiche al tempo dell’introduzione del RdC si concentrarono fondamentalmente sul suo costo  e la generosità delle sue regole e non sul suo indirizzo[1], si resta sorpresi come negli ultimi tempi ci si pronunci nella coalizione di destra-centro in modo apertamente contrario agli stessi principi che lo informano e che ne giustificarono l‘introduzione.

Il RdC si qualifica, per quanto riguarda il primo fine di cui sopra, ovvero il contrasto alla povertà, di una forma condizionata di „minimo reddito garantito“ e non di un reddito corrisposto senza condizioni a tutti i cittadini, altrimenti detto „reddito di base“, come il nome del programma potrebbe invece indurre erroneamente a pensare. Tale ulteriore tema è in realtà distinto e attende ancora di essere propriamente affrontato.

A tre anni circa dall’entrata in vigore del RdC i risultati si lasciano per molti versi apprezzare a dispetto delle critiche per quanto riguarda l’obiettivo di contrasto alla povertà: nel 2021 sono state sostenute 1,8 milioni di famiglie, ovvero 3,9 milioni di persone, con un esborso totale di 8,8 miliardi di euro e un importo medio di 546 euro (fonte: INPS). Ciò ha permesso di elevare il beneficio economico ricevuto dalle famiglie beneficiarie (inclusi i contributi per l’affitto) al 23,9% del reddito mediano equivalente (dato 2019 – media UE 2017: 11,1%), in forte aumento rispetto al 5,5% rilevato nel 2017.

Il grafico qui allegato tratto dalla recente Relazione del Comitato Scientifico mostra non solo un confronto tra i vari livelli di beneficio dallo strumento del reddito di ultima istanza (in l’Italia: RdC) come percentuale del reddito mediano equivalente ma include per un paragone più completo (con riferimento, per l’Italia, anche al dato aggiuntivo per il 2019) anche altre fonti di sussidio che in Italia sono più modeste che nella maggior parte degli altri paesi. Secondo tale statistica l’Italia figura al quarto posto per generosità della somma degli interventi dopo i Paesi Bassi, Finlandia e Irlanda. È tuttavia da non dimenticare che i salari italiani si situino generalmente al di sotto delle medie europee rendendo meno lusinghiero il suo posizionamento. Graduatorie sulla base di altri criteri vedrebbero l’Italia in una posizione decisamente meno favorevole.

A quanti possono sentirsi tentati di osservare come il nostro Paese, oberato da un alto debito pubblico, si sia avventurato in un sostegno eccessivamente generoso a favore della popolazione in stato di bisogno si può a buona ragione opporre, come si osserva nella Relazione, che solo circa 37.000 famiglie su un totale di 1,6 milioni di nuclei che hanno beneficiato fino ad oggi del RdC (un mero 2,3%) godono di un reddito complessivo, incluso RdC, superiore alla soglia di povertà assoluta.

Il dente duole invece relativamente al raggiungimento del secondo obiettivo del RdC, l’inserimento nel mondo del lavoro. Gli ultimi dati pubblicati[2] (aprile 2022 – nota 8, Anpal – Agenzia Nazionale politiche Attive del Lavoro) riferiscono che al 31 dicembre 2021 solo il 45,6% (ovvero 385 mila) delle persone non esonerate al PPL-Patto Per il Lavoro era stato „caricato“[3]. Pur considerando ritardi non quantificati dovuti all’emergenza Covid-19, la durata media del processo fino al termine della sola analisi preliminare indicata nella Relazione appare oltremodo lunga:

Non soltanto il processo appare eccessivamente protratto – la Relazione richiama qui l‘insufficienza del personale adibito cui le recenti „finanziarie“ cercano opportunamente di ovviare con maggiori stanziamenti – ma i beneficiari stessi del RdC rivelano di avere una qualifica troppo bassa per soddisfare l’offerta di lavoro rendendo difficoltoso il processo di reintegrazione. Alla fine dell’anno scorso solo il 23% dei non esonerati dalla stipula del PPL era „vicino al mercato del lavoro“ (con cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro nei tre anni precedenti – e solo l‘11% nell’anno precedente) mentre coloro che erano „lontani“(senza esperienza di lavoro negli ultimi tre anni) rappresentavano ben il 57% (fonte Anpal).  

Purtroppo non sono rilevabili statistiche che indichino il numero delle persone reintegrate nel mondo del lavoro grazie al RdC. Si tratta in ogni caso di un compito particolarmente arduo evidenziato dalla disparità tra offerta di lavoro e capacità di quanti cercano impiego come il Bollettino Excelsior di Unioncamere/Anpal rivela: „Ad agosto (2022 ndr), la difficoltà di reperimento dichiarata dalle imprese riguarda complessivamente il 41,6% delle assunzioni programmate (8,9 punti percentuali in più rispetto allo scorso anno).

Fonte: Relazione del Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza 

[1] Un esempio fra i tanti in cosiderazione anche di una breve panoramica nei vari paesi europei: „Reddito di cittadinanza: un confronto con l’Europa“, Osservatorio CPI, Università Cattolica di Milano, 2018

[2] Nota 8, aprile 2022, Anpal – Agenzia Nazionale politiche Attive del Lavoro

[3] La Relazione distingue i passi seguenti: 1. Avvio presa in carico 2. Completamento analisi preliminare 3. Firma del patto (PaIS) 4. Monitoraggio del caso.
„Il percorso di presa in carico PaIS (PaIS) si compone di diverse fasi. Le attività di valutazione dei bisogni e delle risorse delle famiglie si concludono con la firma del Patto per l’Inclusione Sociale e la definizione di obiettivi, sostegni e impegni per la famiglia. Dopo la firma del PaIS, le famiglie inizieranno a ricevere i sostegni previsti e gli impegni verranno monitorati dall’assistente sociale. La durata del Patto può anche eccedere la durata della erogazione del beneficio economico“ (Relazione del Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza)