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Si è aggiunto nella corsa anche Cuperlo. Che significa?

Di Pierantonio Rumignani, PD Berlino e Brandeburgo

Pochi giorni fa Gianni Cuperlo ha lanciato, tra la sorpresa di molti, la sua candidatura alla Segreteria nazionale del PD aggiungendola alle tre già esistenti. Come ci si poteva attendere, non vi è giornalista che non gli abbia chiesto la ragione. Cerco di ordinare brevemente alcuni pensieri sul significato della sua decisione.

Innanzitutto occorre risolvere l’apparente contraddizione tra il giudizio negativo sul processo congressuale in corso (“Avrei voluto un congresso che non partisse dai nomi.” Repubblica del 23 dicembre) e il fatto che alla fine vi partecipi. Ricordando che non siamo macchine e che tutti i mortali possono cadere in contraddizione, mi si presenta una sola risposta logica: Cuperlo intende influire sull’andamento della contesa cercando di portarla sul piano dei contenuti e dell’impegno nella formulazione di proposte politiche nette e riconoscibili per il proprio elettore sebbene sappia di non avere molte probabilità di venire eletto – “con umiltà, nella chiarezza delle idee, fuori dai trasformismi” come lui stesso dice. Visto che il processo è in corso e difficilmente modificabile non possiamo che attendere i programmi dei candidati, tema che a mio avviso si presenta la sola vera carta disponibile attualmente al fine di dare nuovo impulso al partito. 

Sappiamo che Cuperlo non è il solo a pensare che le scelte fatte non siano le migliori. Ma quali potevano essere le alternative per il partito tenendo anche in considerazione che lui stesso non ritiene la rivisitazione del Manifesto dei valori un atto utile (“I valori non si riscrivono ogni dieci anni e sono gli stessi di quando il Pd è nato”)? Se intende dire che la mancanza principale è stata quella di non riuscire a tradurre valori già riconosciuti – definiti come i principi che devono guidare le scelte politiche, inclusa la loro priorizzazione – in programmi di cose concrete da fare e atti politici è difficile non essere d’accordo. Il problema del partito, a mio avviso, si riassume in due punti:

  • Non avere osato formulare misure concrete ritenendo evidentemente che un impegno in tal senso avrebbe potuto ridurre il proprio consenso mentre si cercava per sé il ruolo del sensale in una coalizione più ampia possibile. In questo modo, ad esempio, ci si è fatti scippare da terzi il tema del Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia invece dei cugini tedeschi della SPD.
  • Avere mancato nel trasporto e comunicazione del proprio messaggio. Esempio: Letta si è mantenuto “alto” nell’argomentazione durante il duello elettorale televisivo con Meloni mentre gli spettatori probabilmente attendevano da lui messaggi specifici sulle misure da prendere in una situazione difficile per il paese.

Controprova: attese e giudizi sulle prospettive del partito erano ben diversi e positivi prima dello scoppio del secondo stadio della crisi avviato dalla invasione dell’Ucraina mostrando i sondaggi un testa a testa con FdI. La dirigenza pensò erroneamente che il cambiamento della situazione non comportasse una modifica del proprio messaggio politico continuando a limitarlo a un appoggio qualificato al governo Draghi finendo per essere identificati con chi non ha altre idee e ambizioni.

Sotto lo choc della sconfitta elettorale non si è visto poi che le esigenze erano in realtà due con distinti orizzonti temporali scegliendo invece di abbinare le due cose mantenendo il segretario in carica ma solo per un breve periodo, al fine di attuare un processo ambiziosamente definito di “rifondazione” mentre il nuovo capo viene scelto.

L’invito che possiamo rivolgere a noi stessi è ora a mio avviso quello di fare di vizio virtù e di concentrarci sulle cose concrete che sono i programmi dei candidati e sulla scelta di chi dovrà gestire il cambiamento interno. Questo, fra l’altro, non potrà non riguardare una profonda modifica dei processi decisionali, inclusi quelli relativi a tutte le nomine dei candidati, ribaltando l’attuale piramide in cui la base ha ben poca voce in capitolo senza per questo compromettere la capacità decisionale al vertice.

Occorre infine riflettere con realismo sulla lamentela di Cuperlo, cui si accenna sopra, che si sia erroneamente “partiti dai nomi”. Qui mi permetto di dissentire sul piano pratico a meno che non ci si voglia riferire a un processo elettivo senza impegno sui contenuti. È compito del partito intero che ciò non avvenga.

Personalmente non credo molto nei consessi, men che meno se di grandi dimensioni, in cui per incantamento e dal basso profondo di una comunità di anime affini sorga, come risultato di un magico processo dialettico, un programma politico in sé compiuto e coerente. Io sono convinto invece che la discussione in tali consessi non possa che avvenire tra tesi ben delineate ed esposte da “nomi” per una loro discussione che altrimenti non potrebbe essere in alcun modo ordinata. Questo è appunto compito dei candidati nel frangente attuale quando urge l’elezione di un nuovo segretario e con esso di una linea politica che non soffra delle carenze passate.

Ciò porta a un’ultima osservazione. È proprio quando i candidati si limitano all’esposizione di principi e intenzioni, anche con il fine di massimizzare il gradimento grazie a una minimizzazione dell’esposizione, che la discussione viene mortificata e il confronto diviene personale e quindi anche più acceso. In tale situazione assumono importanza e risalto le manovre dei gruppi sostenitori, con grave danno per il partito. I candidati hanno tuttavia ancora il tempo, per quanto scarso, per smentire che questa sia effettivamente la prospettiva del partito, a parte i normali conflitti in una competizione di questo genere.

D’altra parte non ritengo che quello che dicono i diversi candidati come riportato dalla stampa presenti contrasti così ampi e insanabili da permettere solo falsi compromessi in una situazione ove è un rischio reale il lungo governo di una destra socialmente retrograda e clientelare. In tale senso ha significato più che mai la cooperazione in un partito a gestione democratica (più di quella attuale) cui partecipano tutte le forze che si dicono progressiste – il che è stata la ragione della nascita del PD.