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Su quel femminismo che fatica e arranca (soprattutto in Italia)

Dopo l’elezione di Giorgia Meloni è chiaro che c’è bisogno di parlare di femminismo. Il dibattito è complesso e delicato ma a mio parere fondamentale.

Di Federico Salvati, PD Berlino e Brandeburgo

Come sostiene Linda Martín Alcoff, il concetto di femminismo ha molteplici sfaccettature e la parola in sé, come tanti “–ismi”, descrive più un dibattito tematico che un approccio unitario e coerente alla realtà sociale.

La maggior parte delle persone però non seguono assiduamente i dibattiti accademici e non credo di mancare di troppo il bersaglio se dico che il femminismo è comunemente inteso come una dottrina che predica la redenzione e l’equalizzazione del genere femminile contro la discriminazione sistematica e strutturale di genere nella società.

Al tempo stesso non credo di affermare nulla di estremamente controverso se dico che il femminismo è storicamente (e nell’immaginario di tutti) classificato come una dottrina che guarda a sinistra. Il ruolo della donna inteso come “angelo del focolare” invece è normalmente appannaggio della destra tradizionalista.

Date queste premesse, è normale che l’elezione della Meloni (leader del partito più reazionario che sieda in Parlamento) stoni un pochino con questa narrativa e la questione ha chiaramente creato confusione.

Quale che sia la nostra affiliazione politica bisogna, comunque, riconoscere che si tratta di un risvolto per lo meno bizzarro. Le stranezze però portano con sé sempre un’opportunità di riflessione e in quest’occasione possiamo riflettere sul ruolo del femminismo come dottrina di redenzione sociale e sugli accadimenti politici nella società occidentale. Attenzione, con ciò non intendo discreditare né il femminismo in sé, né l’uguaglianza di genere. Al contrario, vorrei che tutti noi come attivisti e difensori della giustizia sociale ci sforzassimo di capire come fare in modo che in futuro il nostro operato sia migliore e più efficace.

Detto questo, passiamo alle note dolenti. L’elezione della Meloni, da buon uomo democratico e progressista quale sono, per me rappresenta l’ultima di una lunga serie di delusioni in questo campo. Lungi dall’essere un’eccezione, mi sembra che sia ora di riconoscere una spiacevole tendenza che gli uomini e le donne di sinistra non vogliono o non possono vedere.

Ad essere più precisi, l’ascesa della Meloni rappresenta, a mio parere, più un accadimento in linea con i trend politici europei piuttosto che un’eccezione alla regola.

Quest’articolo era originariamente pensato come una lettera aperta a una figlia che (ancora) non ho. In quella occasione avevo immaginato di chiederle di guardare, in quanto donna, ai modelli femminili di successo che hanno cambiato la nostra società in Europa, cosicché anche lei possa avere speranza e sentirsi autorizzata a perseguire i propri sogni di realizzazione individuale nel campo politico-sociale.

A tal riguardo però, presentando modelli femminili di successo nella società occidentale negli ultimi cinquant’anni ci si deve sforzare di più a trovare grandi leader femminili sia di sinistra che di destra.

Senza ombra di dubbio, le figure femminili più importanti che hanno segnato la storia recente sono state Angela Merkel e Margaret Thatcher. Due giganti della storia, da cui personalmente mi sento lontano politicamentema che senza ombra di dubbio hanno influenzato grandemente lo sviluppo della società moderna. Anche se non di sinistra, la Thatcher e la Merkel sono state delle leader che in maniera indipendente hanno perseguito quello che ritenevano più giusto e vantaggioso per le proprie comunità politiche e non mi sento di dire che fossero “vittime” del patriarcato.

Ugualmente oggi, pensando alle istituzioni europee, mi viene in mente che a capo delle due più importanti cariche politiche dell’Unione ci sono proprio due donne: la Von Der Leyen e la Lagarde. Due donne di certo lontane dai valori di sinistra. Sicuramente democratiche, ma di inspirazione conservatrice e neoliberale.

Mi preoccupa ulteriormente pensare che sia in Germania che in Francia i partiti di estrema destra hanno una situazione simile a quella italiana (nel senso di avere una leader donna alla loro guida).

La cosa non è migliore se guardo agli USA. Condoleeza Rice è stata la prima donna di colore a ricoprire la carica di segretario di stato sotto l’amministrazione Bush (e non è certo stata una figura di secondo piano).

La Clinton, credo sia abbastanza chiaro a chi segue i dibattiti politici americani, era di sinistra solo nominalmente e se dovessi parlare a mia figlia non le chiederei di guardare a loro come modelli ispiratrici di femminilità. Prima di lei ci fu sicuramente Madeleine Albright, che in verità si è apertamente schierata nel campo femminista in politica estera ma al tempo stesso era convinta proponente dell’eccezionalismo e dell’interventismo americano. Rimane da considerarsi come una figura controversa.

A onor del vero, di leader femministe ce ne sono. Ogni bravo italiano che si dice di sinistra conoscerà, almeno per sentito dire, i nomi di Lina Merlin, Tina Anselmi e Nilde Iotti. Così come al giorno d’oggi i giovani liberali conosceranno i nomi di Alexandria Ocasio-Cortez e Elizabeth Warren. Donne che sì, hanno dato grandi contributi allo sviluppo politico e sociale, ma che non sono mai riuscite a scalare i ranghi dei rispettivi partiti e non sono mai (o non ancora) riuscite a diventare delle cosiddette “front runners” come invece capitò alla Merkel e alla Thatcher e come oggi è capitato alla Meloni.

Inoltre, sfido chiunque a domandare a bruciapelo a qualcuno tra i 18 e 40 anni di riassumere in breve il contributo politico di Nilde Iotti o quello della Merkel. Scommetto una birra che la percentuale di risposte esaustive in merito sarà di gran lunga spostato sulla Merkel.

A guardare il panorama della leadership femminile, ho come la sensazione che questo benedetto glass ceiling sia più presente proprio negli schieramenti di sinistra in cui la scarsezza di leader prominenti nelle ultime decadi è a mio parere leggermente imbarazzante.

Sicuramente a destra le donne in questione saranno conservatrici, anche reazionarie, ma mi sembra paradossale che bisogni disciplinarle dicendole che sono state (o sono) donne “nella maniera sbagliata” proprio in nome del femminismo.

Credo invece che sia giunto il momento di una riflessione profonda sul ruolo del femminismo nella sinistra e nella società in generale. Forse proprio come dice la Alcoff, dobbiamo smettere di parlare di femminismo e dovremmo cominciare a parlare di “femminismi”. Siamo in un momento storico in cui il solo fatto di invocare diritti e puntare a un problema non significa più essere progressisti e di sinistra in maniera automatica. Forse è arrivato il momento di accettare che c’è anche un femminismo di destra che immagina donne in posizioni di potere e responsabilità (anche ai massimi vertici) ma con normative sociali differenti, con meccanismi politici che non sono o non possono essere assimilati alla cultura politica di sinistra.

Mi rendo conto che forse quello che sto dicendo derivi solo da un pessimismo circostanziale all’indomani della nomina di un governo d’eredità fascista capitanato dalla prima Presidente del Consiglio donna del mio paese. Mi rendo conto anche che a questo punto, dopo aver messo tutte le carte in tavola dovrei dare delle risposte per chiarificare la situazione. In realtà però la ragione di questo mio intervento è proprio questa: fatico io stesso a darmi risposte ad un dato che sembra fattuale. Forse la questione potrebbe derivare da un turn-over troppo lungo della leadership politica dei partiti moderati di sinistra (è il caso del PD in Italia, della SPD in Germania e anche dei socialisti francesi). Questo incoraggerebbe vecchi leader maschili a rimanere al timone dei quadri di partito troppo a lungo, non lasciando spazio alle nuove generazioni femminili più moderne e progressiste. Forse potrebbe anche essere il fatto che quando vengono coinvolte le donne, politicamente vengano indirizzate in maniera paternalistica verso posizioni che più rispecchiano l’immaginario patriarcale e che di solito sono meno rilevanti politicamente (scuola, sanità, pari opportunità etc. invece di interni, finanze, esteri etc.). Forse il sistema patriarcale è ancora più vivo e arzillo di quanto crediamo. In realtà non mi sento di dare soluzioni precise perché in tutta franchezza io stesso non ne possiedo nessuna.

Al contrario, il punto di questo intervento è proprio di stimolare riflessione e dibattito e sarei anche contento di essere smentito in caso qualcuno abbia una prospettiva più rosea e convincente sull’argomento.

Alla fine della giornata, comunque, mi rimane solo tanta amarezza perché, sperando un giorno di tenere tra la braccia mia figlia, come futuro aspirante padre, vorrei tanto dirle “guarda, un giorno anche tu potrai aspirare a diventare LA SIGNORA Presidente del Consiglio” ma a questo punto non so se alla mia ipotetica figlia convenga tesserarsi presso un partito di sinistra…

Fonte immagine: https://www.ilmessaggero.it/politica/giorgia_meloni_libro_io_sono_giorgia_mamma_politica_ultime_notizie_news-5948022.html