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Il piano inclinato del semi-presidenzialismo alla Meloni

Di Pierantonio Rumignani, PD Berlino e Brandeburgo

Sotto varie spoglie e manifestazioni aleggia sempre qui e là.

Dopo essere finita con il suo governo nella palude della legge di bilancio, come i più si attendevano, e avere distribuito alle varie clientele della maggioranza quel poco che c’è, dimostrando una volta di più l’assenza di visioni coerenti nel governo se non quella di protezione di interessi particolari, Meloni indirizza ora i suoi sforzi alle riforme a costo zero – per forza di cose, ma anche perseguendo una strada che possa bullonare una maggioranza di destra per i tempi venturi. Così si ritira fuori dal cassetto la “Proposta di legge costituzionale” del “lontano” giugno 2018 che vede una ridefinizione del ruolo del Presidente della Repubblica: via dalla figura di garanzia e verso una funzione di parte perché appunto votato direttamente da una maggioranza dei cittadini contro una minoranza. In questo lo si dota di nuovi attributi che permettono una sua primazia sul Presidente del Consiglio, ribattezzato Primo ministro e sminuito nel suo ruolo. I paladini di FdI mostrano tutta la corda del loro ragionamento accusando Mattarella di non essere imparziale per poi concepire un’architettura delle istituzioni dove il Presidente della Repubblica non lo è per definizione. Ovvero: se si riceve l’investitura dal popolo l’imparzialità di una carica a garanzia della democrazia diventa un accessorio di cui si può fare a meno.

Il nuovo art. 95 designa il Presidente alla “direzione della politica generale del Governo” sostituendosi in questa responsabilità al Primo ministro che ora, in posizione di subordine, “concorre” solamente nella promozione e coordinamento dell’attività dei ministri. Nel suo nuovo ruolo il Presidente continua ad avere la facoltà di sciogliere le Camere (con l’eccezione dei primi 12 mesi dalle elezioni politiche – nuovo art. 88). Ciò potrebbe in particolare occorrere qualora esse ardissero di mettergli davanti un Primo ministro sgradito. Da notare anche, per comprende la portata delle modifiche in programma, che il Presidente può (nuovo art. 89) promulgare così come rinviare leggi senza la controfirma del Primo ministro ora invece necessaria per ogni atto legislativo. Avremmo quindi in un prossimo futuro, se la riforma caldeggiata da FdI dovesse passare, non una sola istituzione in un panino, quella del Parlamento come sostiene Zagrebelsky (La Repubblica, 6 agosto 2022), ma due perché possiamo vedere nel ruolo del salame anche un Primo ministro condizionato da tutte le parti – pure da un Parlamento in cui il Presidente potrebbe cercare di formare una maggioranza alternativa. Chiave di volta del tutto è infine l’impossibilità per chiunque di sfiduciare il Presidente durante tutto il suo mandato non essendo previsto neanche lo strumento della messa in stato d’accusa (impeachment).

Gratta gratta, tutto può andare a finire nella creazione di un nuovo uomo del destino, magari con l’aiuto dall’introduzione di una nuova legge elettorale favorita da un assetto istituzionale più compiacente rispetto a quello attuale e fatta su misura senza il bisogno di precedenti marce sulla capitale e di aiuti da parte di regnanti. Sarebbe un’altra versione di una democrazia che uccide sé stessa.

Come facilmente si può vedere la Proposta di FdI è configurabile come un primo tassello verso un governo autoritario ove i FdI si immaginano fantasiosamente, come detto nell’introduzione alle modifiche di legge, di “regalare (sic!) a una nazione che ha bisogno di stabilità, ma anche di passare da una « democrazia interloquente » a una « democrazia decidente ».“ Non è una necessità che finisca così, ma si deve dire che ci sono gli elementi dato che anche non ci troviamo davanti a una riformulazione organica di tutta la seconda parte della Costituzione, come richiama Cassese, che è necessaria per la creazione dei pesi e contrappesi propri del presidenzialismo a protezione del sistema democratico.

Se la storia mostra il presidenzialismo non conduce di per sé all’autoritarismo si può però dire che esso si è prestato nel passato a tali evoluzioni, come ad esempio hanno dimostrato le vicende del Sud America. Occorre anche aggiungere che alla base dei piani di FdI c’è l’intenzione manifesta di rompere, coerentemente con la loro ideologia, con la democrazia parlamentare e rappresentativa misconoscendo a questa le qualità che l’hanno contraddistinta nella storia rispetto a tutte le altre forme di governo e pronunciandosi a favore di ipotesi decisamente decisioniste nello spirito. E come la dittatura aspira al riconoscimento della sua legittimità costruendola con il richiamo a una finta volontà popolare truccata in tutti i modi, dall’antichità fino ai regimi fascisti e comunisti recenti, così anche, nel suo piccolo, FdI racconta la frottola del “Presidente votato dagli italiani, legittimato dagli italiani e che risponde del proprio operato solo di fronte ai suoi elettori” quando questi si pronuncerebbero solo una volta ogni cinque anni e non si sa sotto quali circostanze a tendere. Quale possa essere il loro modello di ispirazione salta fuori se si legge fra le righe, in un modo critico, quello che scrivono quando si richiamano a “una riforma che affonda certamente le proprie radici nella storia della nostra nazione”. Ma in quale parte della storia? La matrice culturale tradisce la vera natura delle persone, malgrado quello che esse professano ufficialmente, per convinzione o comodità e alibi. Lo spirito degli “antenati (vedi sopra foto) continua ad aleggiare qui e là.

È vero che vari costituzionalisti, che FdI cita numerosi nella sua Proposta appropriandosene subdolamente e falsamente inserendo anche un dubbio Pacciardi (coinvolto nell’affare del golpe bianco), abbiano avuto simpatie per il presidenzialismo (come Calamandrei per quello degli Stati Uniti). Ma le statistiche della storia non sono favorevoli al presidenzialismo. A dimostrazione riporto qui di seguito una tabella che per quanto degli anni novanta è tuttora valida e in cui si mostra come il presidenzialismo sia animale raro e limitato a pochi paesi. Nel caso di quelli occidentali questi hanno per lo più fatto la loro scelta presidenzialista o precedentemente allo sviluppo del parlamentarismo di democrazia rappresentativa come gli USA o in situazioni molto particolari come la Francia (in questo caso un semipresidenzialismo con la famosa “coabitazione” tra Presidente e Primo ministro) al tempo drammatico per il paese della “sal guerre” d’Algeria e di un uomo particolare come De Gaulle, politico attratto dal cesarismo.

Juan Linz, studioso riconosciuto dell’autoritarismo e professore emerito al termine della sua carriera alla Yale University, diceva (“The perils of Presidentialism”, The Journal of Democracy, 1990): „La prestazione storica superiore delle democrazie parlamentari non è casuale”.

 Fonte: S. Mainwairing, M. Shugart “Juan Linz, presidentialism and democracy: a critical appraisal”, 1993